Il nome del gioco, alla fine, è lo stesso:
“Io esisto. E farei tutto per scriverlo sui muri che tutti leggono, mangerei cadaveri e bacerei gli angeli, strapperei con violenza le ali allo spirito santo e sorriderei alle automobili. Un giorno a piantar fiori nel giardino dell'Eden, un giorno ad arrotar forconi con Satanasso.”
Fare di tutto per quella cucchiaiata d'ambrosia, che è amara sulla lingua, ma nella gola brucia di fuoco sacro, vero? E cosa importa se il mio veleno è il tuo sostentamento?
“Un giorno è un giro a poker, un giorno un tiro a scacchi. Voglio un cucchiaio colmo, che coli miele sul pavimento, e guardare le cimici accorrere a milioni, per annusare una goccia stinta, appiccicosa, l'odore di piedi di una puttana.”
Ci sono sere in cui il tramonto è rosso fuoco, e altre di nebbia. Ma sono testimone a Dio Capofficina che notti nere come quelle dell'anima, nessun Meccanico può ripararle, né Assise perdonarle.
Buon appetito, mangiatori di cucchiai. E operai.
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